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Quale opportunità’ dal Green New Deal?

Un ruolo importante verrà svolto dalle Comunità energetiche che consentiranno di aggregare cittadini, enti locali, distretti industriali. Si parla di Antropocene, di Sesta Estinzione. Il riscaldamento globale è tra le emergenze più urgenti: servono misure profonde che vadano verso la diffusione delle energie rinnovabili.

Quale opportunità’ dal Green New Deal?

Gianni Silvestrini

La pandemia trascina con sé paure, disattenzioni, urgenze. E anche la febbre del pianeta, che continua a salire, finisce in secondo piano. Se la prima ondata era alleviata dalla consapevolezza diffusa, non osteggiata da schermaglie di politica internazionale, che, analogamente agli altri virus che nell’ultimo secolo avevano funestato il pianeta, aveva origine in una crisi ambientale (quella delle foreste cinesi dove il virus viveva confuso nella complessità ecosistemica) di cui erano noti i caratteri principali, la seconda ondata sgomenta tanto che non ci si pone più il problema delle modalità per la ripresa. La crisi ambientale ha molte facce. Il pianeta ha ormai superato i limiti di molti parametri (cambiamento climatico, acidificazione degli oceani, diminuzione dell’ozono atmosferico, cicli dell’azoto e del fosforo, perdita di biodiversità, uso dell’acqua dolce, incremento dell’aerosol atmosferico, cambiamenti d’uso del suolo, inquinamento chimico) che minacciano gli equilibri della biosfera. Si parla di Antropocene, di Sesta Estinzione. Il riscaldamento globale è tra le emergenze più urgenti: servono misure profonde che vadano verso la diffusione delle energie rinnovabili. Bisogna fare molto e in fretta ed è per questo che alcuni temi che potrebbero frenarla vanno subito affrontati. Per loro natura, fotovoltaico ed eolico hanno bisogno di ampi spazi. Si è quindi consapevoli che dopo tetti, discariche, aree industriali dismesse bisognerà diffondere pale e pannelli nelle campagne. Nasce allora il problema del paesaggio che non è (occorre sottolinearlo) un problema estetico ma di compatibilità ecologica, di uso del suolo rispetto alle superfici naturali e agrarie, di accettabilità da parte delle popolazioni rurali (di cui del resto si auspica una crescita che alleggerisca l’impatto urbano). Il territorio siciliano è a ciò particolarmente sensibile: ricco di valenze ambientali, di paesaggi culturali, di produzioni pregiate legate a valori qualitativi collegati alla particolarità paesaggistica non può essere sottoposto a impatti incontrollati che porterebbero nell’impoverimento di questi valori, a conseguenze ecologiche, culturali, sociali inaccettabili. Con questo devono fare i conti le rinnovabili. Non si sfugge. Bisogna andare in fretta verso l’utilizzazione delle superfici non agricole o naturali disponibili (ci sono a proposito dati che consentano di quantificare il loro contributo?), sì certamente anche all’ offshore (perchè opporsi a impianti galleggianti posti a 35 km dalle coste?) e sì -sembra inevitabile- anche all’uso delle campagne, ma a condizioni che solo una rigorosa pianificazione (è esagerato dire che finora sembra aver fatto da padrone la corruzione?) può dettare. Ricordiamo che la crisi climatica marcia di pari passo con la perdita della biodiversità, con il consumo di suolo con gli altri limiti planetari di cui nessuno risparmia la Sicilia. Quindi serve una visione compiutamente paesaggistica (“la totalità dei caratteri del territorio”) e una pianificazione conseguente. Molti dubbi, Infine, su nuovi sistemi come l’agrofotovoltaico che prevede la coesistenza sulla stessa superficie di impianti agricoli ed energetici. I dati che si conoscono, da ricerche prevalentemente svolte nei paesi a clima temperato, spingono ad un ottimismo fortemente moderato dalla necessità di sperimentazioni legate alla realtà microclimatica e agronomica locale. Il clima siciliano, le dimensioni aziendali, il sistema delle rotazioni e delle successioni, le colture più importanti, la filiera from farm to fork quanto sono compatibili con l’agrofotovoltaico? Rimangono molte risposte da dare.

Giuseppe Barbera

Ci troviamo in una fase di forte accelerazione sia degli impatti causati dall’emergenza climatica che degli obiettivi di contrasto. Europa, Giappone, Usa e altri paesi hanno infatti dichiarato di voler diventare “carbon neutral” a metà secolo e la Cina al 2060.

Stanno partendo quindi trasformazioni rapidissime in tutti i settori, dall’energia ai trasporti, dalle città alle campagne.

Anche la Sicilia verrà coinvolta da questi cambiamenti.

Ne affrontiamo uno, quello della forte crescita delle rinnovabili che dovrebbero arrivare a soddisfare oltre il 70% della domanda elettrica nel 2030, a fronte di una quota attuale inferiore al 30%.

Per raggiungere questi obiettivi, un ruolo importante verrà svolto dalle Comunità energetiche che consentiranno di aggregare cittadini, enti locali, distretti industriali, esaltando un protagonismo dal basso e garantendo interessanti ricadute economiche e posti di lavoro.

Il fotovoltaico accoppiato alle batterie diventerà la norma.

Ma saranno necessari anche grandi impianti. Su questo fronte ci affacciano due novità interessanti.

La prima riguarda l’eolico off-shore a decine di chilometri dalla costa, con un paio di proposte anche in Sicilia.

Ai blocchi di partenza c’è poi l’agrofotovoltaico, una soluzione che mira a garantire sullo stesso terreno la produzione agricola, spesso dove questa era stata abbandonata, e la generazione di energia elettrica.

Una gestione oculata della crescita verde porterà occupazione e nuove industrie (dai cantieri navali alle fabbriche fotovoltaiche).

Certo, il paesaggio è destinato a cambiare, più rapidamente di quanto avvenuto nel corso dei secoli. La sfida sta proprio nel riuscire a gestire in maniera intelligente queste trasformazioni.

Gianni Silvestrini

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